10 dicembre 2010

Allattamento naturale: suggerimento n°3

Pochi giorni fa mi è capitato di raccontare che mio figlio di 9 mesi spesso rimane attaccato al seno anche per un'ora, succhiando più o meno voracemente e riposando con il seno in bocca.

"Non è possibile che succhi così tanto, vuole dire che usa la tetta come ciuccio..."

Ascoltare questa considerazione mi ha fatto riflettere e sorridere. In realtà tutti i bambini non usano la tetta come ciuccio, usano il ciuccio come se fosse una tetta, almeno quelli che hanno la "sfortuna" di dover sostituire la buona vecchia tetta di mamma con una sua pessima imitazione, il ciuccio.
Perché l'allattamento naturale al seno vada a buon fine e sia prolungato nel tempo, bisogna che le mamme si armino di buona pazienza e offrano sempre il seno ai propri bimbi... Per mangiare, per giocare, per addormentarsi, per scoprire il mondo. Dare ai bambini il ciuccio alla prima notte insonne, offrire loro biberon di acqua o tisane per calmarli, non è una buona abitudine. Tutto ciò che è diverso dal seno interferisce con l'allattamento naturale. Usate le vostre tette, sono state create per questo. Non ascoltate chi vi dice che è anti-educativo far attaccare sempre il vostro bimbo al seno. Riflettette, perché mai un bimbo a 4, 5 o 10 mesi dovrebbe fare i capricci? Loro hanno solo bisogno di noi. Perché dargli un surrogato della tetta invece dell'originale se lo scopo è lo stesso???
Perché sentirsi tranquille se un bambino si addormenta ciucciando un oggetto di plastica e sentirsi in colpa se si coccola con il seno della mamma che, ripeto, serve proprio a questo?



1 dicembre 2010

Sciopero dei calciatori

Oggi voglio parlare di calcio.
Confesso che appartengo a quella categoria di persone a cui piace la domenica pomeriggio guardare la partita della propria squadra del cuore... Noi tifiamo Napoli, tiè!
Durante quei 90°, causa cervello in standby, non mi sono mai nemmeno sognata di riflettere sul paradosso del mondo del calcio: di quelle persone che in pantaloncini e maglietta corrono dietro ad una palla per cercare di tirarla in una porta, non c'è ne è uno solo che, tra ingaggi e sponsor, non si porti a casa ogni anno uno stipendio milionario. E parliamo di un campionato composto da 20 squadre (se ci limitiamo alla serie A).
Intorno al calcio girano tanti soldi. Bisogna tristemente ammettere che, la grande massa di persone, me compresa, che con passione sostiene la propria squadra, si illude di guardare una sana e appassionante competizione sportiva, alimentando un sistema che di sportivo non ha proprio più nulla.
Lo sport non è questo, e chi ha praticato seriamente una qualunque disciplina può capire quello che cerco di dire.
Lo sport è sacrificio, allenamenti estenuanti che ti tolgono la forza di tornare a casa la sera (figuriamoci quella per andare ad ubriacarsi per locali con al seguito una scia di dolci donzelle...), lo sport è passione, lo sport è gioco di squadra, è aiutarsi, sostenersi, è credere che l'impegno profuso senza alcun corrispettivo economico aiuti a diventare una persona migliore, a formare il proprio carattere, ad imparare a non mollare mai. 
Essere uno sportivo di successo, un vincente, significa assumersi la responsabilità di diventare un simbolo per giovani e meno giovani, un mentore, una persona capace di ispirare la vita di altre persone...
Bene, per me questo è lo sport.
Capirete il mio sgomento di fronte alla notizia dell'ormai inevitabile 
S C I O P E R O   D E I   C A L C I A T O R I  indetto per la 16° giornata del campionato ovvero per il fine settimana dell'11 e 12 dicembre.
Senza neanche approfondire le richieste dell'Assocalciatori (ossia il sindacato che difende i diritti contrattuali di ci gioca come professionista a calcio nel nostro Paese), senza scendere nel merito della questione, mi chiedo se sia etico che una categoria come i calciatori indica uno sciopero. Una categoria che di certo a fine mese ci arriva eccome. In un momento di crisi profonda e prolungata, in un periodo in cui tante famiglie vivono di sacrifici costanti e dolorosi, ecco che si parla (e solo il parlarne mi pare vergognoso) dei diritti di persone che mentre qualcuno lotta per loro stanno facendo il bagno nella loro piscina privata o, magari, stanno scegliendo la loro nuova Ferrari.
Io sostengo il lavoro in ogni sua forma ( e, preciso, parlo di lavoro e non di sport per ovvi motivi...), sono assolutamente d'accordo che ognuno debba avere la possibilità di difendere i propri diritti, di qualunque diritto si tratti e a qualunque categoria appartenga, ma qui mi sembra che si sia scaduto davvero nel ridicolo. Di quel ridicolo che fa male all'Italia, a quell'Italia che, invece, vede i propri diritti calpestati ogni giorno. Proprio di quell'Italia che ogni domenica o sabato che sia si trova con entusiasmo allo stadio o davanti alla tv a tifare per i propri eroi, aiutandoli in questo modo a costruire la ricchezza che riempie già abbondantemente la loro vita.
Mi chiedo, e qui concludo, se la parola flessibilità è ormai simbolo del mondo del lavoro italiano, come mai una classe che ha guadagni e regime di vita tipici di professionisti o imprenditori, che gode del supporto di manager pronti a tutelare i loro interessi, che contratta quotidianamente con ogni tipo di sponsor, viene con nonchalance trattata come lavoro dipendente a tutti gli effetti, con tanto di contratti e sindacato? Certo la flessibilità è di noi poveracci che ci facciamo il culo per portare a casa 1000€ al mese, che paghiamo il mutuo e veniamo licenziati. Come sempre, evviva l'Italia.